(2002-2008)
Buon Dante, in che girone li mettiamo?
Faresti un altro inferno o svuoteresti
(condono generale) il vecchio, e il nuovo
in viali, uffici, market, grattacieli,
e a ognuno un impresario e un funzionario?
È appena giunto un uomo mascherato,
non ha voluto dire il proprio nome,
pretende che lo conosciamo. Bene,
tra i mascherati o tra le spoglie d’uomo?
Fu un donatore di spermatozoi,
dà figli al mondo fin dall’altro mondo
Quest’uomo ogni finanza al mondo ha mossa,
adesso neanche un fiore ha sulla fossa.
‘Sto figlio brocco è morto giornalista,
sarebbe nato prete in altri tempi.
Vedo re sul patibolo e regine,
mai sulla sedia elettrica il borghese.
Per la ragion di Stato al delinquente
il nome di una piazza e il monumento.
Cosicché, signor Proust, Lei pare
apprezza la musicaccia offerta dal mercato,
non offende il Suo gusto raffinato
quanto poi finirà nella monnezza?
Sulla strada di Damasco
un regista rivierasco.
Da un’epoca fornaia
a un’era macellaia
Siamo in miliardi e pure zio Peppino,
lui lupo errante, è morto moscerino.
Sembrava un buon motivo il suo saluto
per dire che quel giorno ero felice
le insegnavo il latino e non capiva,
lei schioccava la lingua e non capivo.
T’invio sonetti a smuovere i tuoi sensi
e pensi che ti chieda che ne pensi.
In un regime è nato da compagno
e in un regime è morto papa magno.
Nel bosco messo a fuoco è morta in fuga,
l’avevo messa lì la tartaruga
scampandola alla gabbia e alla lattuga.
Il canarino in gabbia
se canta è solo rabbia.
Haiku
2004-2010
Gli occhi dei gatti,
soffia il vento d’inverno,
mandano lampi.
Gode il padrone,
non l’operaio stanco
del primo maggio.
Urlano i rami,
bussa il vento (lo ascolti?)
sui doppi vetri.
Dono di gatto,
ti aspetta sulla porta
la notte, al vento.
Fammi toccare
la parete del cielo,
monte Felice.
Era bellezza,
da lei proviene amore,
la primavera.
Un gatto ucciso,
un occhio sull’asfalto,
il mio e il suo.
Gli piace offrire,
cerimonioso il gallo,
pure a me un chicco.
Giocano al vento
le taccole su un fondo
di nubi nere.
la parete del cielo
1969-1972
Il canto del chiù
è entrato stanotte
dal mio balcone aperto
e mi ha svegliato.
Ho voluto vegliare anch’io
e ascoltare un poco
quel lamento cadenzato,
fino a quando il sonno
ha spento il mio udito
ed è tornato per me il vuoto
e il nulla della notte.
E proprio a questo vuoto
e a questo nulla
esso ha cantato ancora
e canta.
I sassi taciturni sulla mia strada di campagna
e la cavalletta che punzecchiavo da bambino
con le spine pazienti del rovo
(e quella che cacciava
da una bocca invisibile la bava verde)
e il mondo tutto e questa vita…
Quando le guardi le stelle sono mute
e proprio mentre sembra
che stanno lì lì per dirti qualcosa.
È forse la morte
il vuoto e il nulla infinito
di prima che nascessi.
Possibile?
Poi non sapremo
che siamo stati?
Loro sanno tutto.
Io so solo che sono come un pianetino
sconosciuto e sperduto tra le galassie.
Non ho più voluto assistere impotente
all’agonia di un moscerino
capitato tra due pagine del mio libro,
le zampe tremolanti e accartocciate
come di un neonato
e le ali trasparenti
che non riuscivano a disincagliarsi
e quelle due antenne attorcigliate.
Sui vetri del mio balcone
a spruzzi si schiantano le goccioline
di una pioggia portata dal vento,
quasi granelli di sabbia
scagliata da un mostro invisibile
che vuole spaventare la mia veglia.
Solo un leggero mormorio
fa vivere al mio udito
la pioggia di una notte d’estate
che cade di soppiatto
senza farsi annunziare dal vento.
Almeno in una notte d’estate
sulla mia montagna
il concerto dei grilli nel silenzio muto
è accompagnato dal chiù
come il piagnucolio d’una madre
accanto al morticino
quando le lacrime si sono disseccate.
Ma in una notte stellata d’inverno
quando anche il vento si riposa
e il gelo intirizzisce la natura
sono come sperduto e solo
al di là delle galassie.
Inscatolati nel mondo
di quelli che ci hanno preceduti
brancoliamo in certezze.
Odo finalmente la notte
e il silenzio
che pare non inquietarsi e resta sordo
al guaito di un cane imprigionato
o dolorante chissà dove.
E anche quando
quel silenzio frastornato muore,
odo solo il ronzio delle mie orecchie
e tutto sembra
come se al mondo fosse solo il nulla
e quel silenzio sordo.
Ogni sera disturbo i suoi segreti
a una tarantola
nascosta sempre allo stesso spigolo,
a lei la luce fa male
e gironzola spaventata
e poi all’improvviso
si ferma quasi smarrita.
Ma cerco di sbrigarmi
e lascio al buio e ai suoi segreti
quel minuscolo rivoluzionario
dei miei pensieri.
E due di quegli occhioni
si son fermati a luccicare
e a sgombrare quella noia
e quel fastidio che li annebbiavano,
ma solo di tanto intanto,
quasi pentiti di quella debolezza.
Ora solo quel marciapiede
è testimone
e quelle luci al neon.
Ragazzina dalle labbra in su
lascio alle pareti e ai tavoli
della discoteca
i nostri dialoghi di sguardi
e la mia immagine
di animale solitario in gabbia.