da Pareti di carta, scritti su Guido Ceronetti, Tre Lune Edizioni, Mantova 2015, pp. 55-60
Pasquale Cacchio
Il filosofo lunare
Spero che «Difesa della Luna» non ti rattristi troppo.
Credo di non aver detto bugie e neppure di aver esagerato.
Guido Ceronetti, Due cuori una vigna,
il notes magico, Padova 2007, p. 112
Nel vocabolario non esiste parola adatta a designare Guido Ceronetti. Scrittore? poeta? romanziere? traduttore di testi biblici e classici? filologo? drammaturgo e regista di marionette? giornalista? Potrebbe andar bene la parola pensatore (bruttissima) o filosofo (si firma il filosofo ignoto).
Ma è più che un filosofo. Non di quelli che inventano nuove schiere di concetti, a interpretare, a ordinare o trasformare il mondo; lo soffre, lo suda, lo sanguina; i suoi pensieri non sono idee, ma urla, gemiti, ire, scherni, silenzi; più che parlare agiscono, più che esprimere travolgono. Il suo non è un pensiero da condividere, è un cambiar vita. Una reincarnazione di Eraclito? O di Diogene il Cinico?
Costui odia l’uomo, così sembra, ma lo ama più di quelli che proclamano di amarlo, più di legislatori, papi, missionari e operatori umanitari. Non vede l’uomo in cima al processo evolutivo, ma negli abissi delle sue origini. Non è un amico degli animali, è un loro fratello. La parola animalista lo offenderebbe. Già offende me. Non è misantropo né misogino, è un eremita; non è un turista, è l’ultimo filosofo viandante. È intollerante, ma come non esserlo in una società tanto tollerante da accettare l’intollerabile devastazione del mondo?
Torinese, ha compiuto ottantantacinque anni, e a un giornalista che gli chiedeva dei suoi progetti futuri ha risposto come Diogene ad Alessandro Magno, schernendolo.
Qualche postilla a margine di Difesa della luna, Rusconi Editore, Milano 1971.
Sì, a margine degli scritti di Ceronetti non si può non esclamare, interrogare, scarabocchiare stizziti.
Nel 1971, durante gli anni degli sbarchi sulla luna, fu l’unica voce a gridare, come un Battista nel deserto, contro la violazione del suolo sidereo, sfidando il coro unanime di scherni da parte di accademici, scienziati e giornalisti. Ma ride ben chi ride ultimo. Coraggio, sventatezza o calcolo, non importa, della Rusconi nel pubblicare Difesa della luna. Mettere in discussione l’utilità delle missioni Apollo, sfidando il reale, come un don Chisciotte. Al contrario del quale, lo schernito schernisce. Subito la nomea di pensatore di destra da parte di sessantottini e intellettuali. Gli intellettuali di sinistra era scontato, quelli di destra con un compiacimento ben celato, tutti uniti a sposare il Progresso. Ma troppo sfuggente la sua sapienza, troppo multiforme la sua erudizione, troppo potenti le sue traduzioni dall’ebraico e dal latino per poterlo attaccare sul suo terreno senza uscirne con le ossa rotte.
Già nel 1969 in “Conoscenza religiosa” aveva sfidato il tripudio universale per il primo passo umano sulla luna:
Sopra l’amara esplosione di stupidità pura, che è stata l’impresa lunare del 21 luglio 1969, con le sue labili comete di parole forsennate, venute su dalle profondità del più nero ottimismo, i linguaggi della confusione hanno incollato anche i versetti elohistici 26 e 28 di Genesi 1. (Ripubblicato in Difesa della luna, p. 25.)
E su “Belfagor” (I, 1970):
Tutte le imprese spaziali, con o senza partecipazione umana, alle quali abbiamo assistito o assisteremo, sono volgarità pura, prodigi di arte demoniaca senza sapienza, illusionismo di Stato per alte vertigini, un pugno di calcoli incredibilmente esatti e una spaventosa povertà di mente, una nullità che terrifica. Basta ascoltare uomini di scienza, tecnici, cavie umane, statisti, scrittori, le loro colature di stupidità. Senti l’errore umano come un coltello nel ventre. (pp. 68-69)
Un pensiero inviso al comune sentire come al pensiero accademico. Facile dargli del nihilista («Lo sforzo di capire l’albero, il pesce, l’uomo, si rivela sempre più inutile.» (p. 143), dell’antimoderno:
Delle ipotesi cosmologiche coronate dai successi spaziali, delle fisiche le cui prove durano due o tre generazioni e delle macchine che invacchiano prima dei loro inventori, si può fare, senza pericolo di restare nell’ignoranza, a meno. (p. 71)
dell’estinzionista («Sappia, ogni giovane madre, in quale mondo introduce il suo parto.», p. 119),
dell’apocalittico («Le convulsioni finali della civiltà che ha unificato la terra saranno terribili.» (p. 136), del pessimista («Guardate il mare con tristezza. Il tragico è alla gola.», p.196).
L’ottimismo lo lascia al bicchiere mezzo pieno. Basta la lettura di questi versi per inquietare anche il lettore più distratto:
La Terra
Era un inerme terrore nudo:
Avrei dovuto subito annientarlo. […]
La Luna
Ti compiango. Morire
Per mano di un cretino…
La Terra
Che in me la vita si plachi non è un male.
Ma un carnefice divino,
Un carnefice in tutto più che umano,
Angelico o infernale,
Speravo. […]
La Luna
Guarda a Oriente, sorella.
Potrebbe ancora spuntare
Nelle ultime ore
L’Angelo Sterminatore.
(pp. 85-86)
No, nessuna ricetta, né all’uomo singolo né alla società. Il filosofo ignoto non ha un proprio sistema filosofico, nessuna scuola di pensiero. Si nega a ogni tipo di seguace. Più dubbi che certezze. Neanche la pietà di Schopenhauer («il disprezzo come salvezza», p. 175), la misantropia.
Il mondo sociale? Il sociale che riguarda un formicaio di sette miliardi di Homines sapientes gli viene da ridere; le accuse di destrorso, anticomunista, razzista… lo feriscono come il solletico.
Inviso allo stesso mondo ambientalista, animalista e antispecista. Impotenti, patetiche voci, non udibili nel frastuono della città:
Avere in casa un animale viziato, non significa stabilire un patto di pace. E per qualche cigno protetto in un laghetto, fatto vivere come uno stucco in un soffitto, uno sterminio metodico, infernale, di quasi tutte le specie, la caccia sistematica, le vendette, i processi, i giochi, le torture scientifiche, gli stravolgimenti ambientali, i macelli, gli scarichi tossici, le cattività, le educazioni al crimine, gli asservimenti. Fatto sempre con tranquilla coscienza… (p. 51).
L’impotenza di qualsiasi animalista, l’incommensurabile sproporzione tra gli animali che riesce a salvare e gli animali che gli restano da salvare, randagi, elefanti da circo, mustelidi da pelliccia, lupi in estinzione, roditori da sperimentazione, miliardi di capi di bestiame macellati… Ma ha parole di consenso per le loro azioni e si commuove alla morte di un Alexander Langer. Non scorge nel vegetarismo, come Peter Singer, la soluzione del criminale sfruttamento animale. Se c’è una soluzione, ma non è una soluzione perché l’uomo è nato irredimibile, essa è non procreare («C’è un solo modo di guarire l’uomo, non generandolo.» p. 175).
Vegano e antispecista ante litteram, ha anticipato i temi dell’ambientalismo («Non c’è più mammella, succhiata o munta, incontaminata da DDT» p. 123) ed ha immaginato il disastro di Seveso del 1976 cinque anni prima che avvenisse («È possibile che, tra quattro o cinque anni, la Lombardia debba essere completamente evacuata.» p. 130).
Inviso alla scienza ufficiale:
La morte, travestita da conoscenza, è tra noi, adorata. (p. 11)
Ho più stima di uno sfruttatore di donne, che di uno sfruttatore di energia nucleare. (p. 128)
I ricercatori hanno il denaro, la rispettabilità, la potenza. Il potere politico li comanda e li serve, inventa per loro città, li premia, li rapisce, li spreme. (p. 162).
Un grande scienziato distruttore è sentito come un essere al di sopra dei limiti di nazione, sempre innocente, sempre rispettabile, un emblema intoccabile della potenza. Gode della superiore protezione dell’inferno, essendone un importante emissario: la forca non può toccarlo. (p. 206)
inviso all’economia («Non date retta all’Economista, avanguardia del carnefice», p. 130) e, senza scampo, a ogni cultura academica:
La malavita umanistica bacia e ribacia la malavita scientifica, che ha fatto il colpo fortunato. La spudoratezza degli ottimisti perde gli ultimi ritegni alla vista del piede di Neil Armstrong. (p. 73)
Il tripudio universale per il primo passo umano sulla luna è un’ennesima offesa agli animali. Su una terra «orribilmente malata d’uomo» (p. 70) e «in un mondo sfigurato dalla presenza umana» (p. 148) quel calpestare il suolo lunare ricorda loro il calpestare di Adamo nel senso di «dominare, assoggettare» (p. 27) e ricorda che da allora è finita per essi ogni pace:
Et terror vester ac tremor sit super omnia animalia terrae… Se una chiara lettura di una faccia di animale fosse possibile, il Terrore scavato in ogni animale dall’uomo, anche nell’animale che non ne avesse mai veduto l’ombra, in toga, tuta o nuda, il mollusco sepolto, il verme della terra mai venduta, si troverebbe scritto. […] Quando la nostra specie entrò nella vita, un tam-tam infinitamente sottile e penetrante avrà portato in ogni screpolatura di materia l’annuncio che il nemico della vita, il grande nemico di se stesso, era nato. (pp. 50-51),
per le bestie della terra, una campana a morto. (p. 57).
Nessuna speranza di redenzione per il carnefice della terra, nemmeno se mostrasse segni di ravvedimento:
Per morire con giustizia, di taglione, pagando alla terra torturata il suo debito (segnato tutto in buoni e sicuri registri) l’umanità deve morire soffocata dalle immondizie e dalle rovine che ha prodotto. (p. 118)
Desolante.
Ma non è più desolante l’ambiente in cui veniamo buttati appena nati, che fino a qualche mezzo millennio fa si era conservato più o meno come nel neolitico e che da qualche secolo continua senza freni a trasformarsi in una pattumiera? Non è più desolante la sopravvivenza di società, culture e abitudini umane (ma perché non chiamarle istinti?) che esigono macellazione di animali, manipolazioni e sfruttamento di risorse terrestri inimmaginabili in epoche precedenti, e lo spettacolo di una Comunità Scientifica (ma perché non chiamarla Chiesa?) che, asservita agli interessi del capitale, promette nuovi miracoli tecnologici dimostratisi finora funesti per ogni forma vivente?
Il lettore che apre Ceronetti lo chiude lisciandosi le gote, indispettito, sbigottito, smarrito. Ma con occhi diversi e meno irriguardosi per pietre, animali, piante e, chissà, per la mosca intenta a pulirsi le ali.
Altrettanto indispettito, sbigottito, smarrito, non smetto di scarabocchiare a margine.
Pasquale Cacchio, 27 gennao 2013
Cenni biografici
Pasquale Cacchio (1948), laureato in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ex attore del Teatro di Ventura, insegna lettere nelle scuole statali. Scrive, stampa e rilega i propri sporadici scritti, sonetti, frantumi di pensieri e studi sulla lingua locale di Castelluccio Valmaggiore (FG), suo paese natio. http://pasquale75321.wordpress.com/
Legge Ceronetti dagli anni Ottanta. Ne ha raccolto i pensieri sugli animali e sulla dieta vegetariana in un volume, Gli animali di Ceronetti, anch’esso stampato e rilegato con le proprie mani con lo scopo esclusivo di regalarlo agli amici. http://pasquale75321.wordpress.com/testi/1484-2/
http://pasquale75321.wordpress.com/testi/1612-2/
Ceronetti e gli animali
È strano come tutto mi si configuri e distenda come uno spazio-corpo di figura umana… Oggi sento che fu un limite soffocatore essermi sempre e così tanto occupato di uomo e destino umano. Perché non di altro, Dio mio – di formiche, di piante medicinali, di funghi? No, uomo sempre, così anche il mio repertorio di metafore
è un essere antropoide, che incessantemente mendica altre fami, che respira e muore1.
Guido Ceronetti
L’animale è forse il tema centrale della scrittura di Ceronetti. Nessun altro nel ’900 ne ha scritto tanto e con tanta passione. Nessun altro sembra capirne meglio il linguaggio.
Difesa della luna2 è un commento inaudito ai passi di Genesi I, 26-31, dove Dio affida all’uo-mo il dominio sulla terra; Aquilegia3 ha per protagonista un cane; racconti o aneddoti sugli animali sono per lo più Deliri disarmati4 e Nuovi ultimi esasperati deliri disarmati5; i diari, Un viaggio in Italia6, Albergo Italia7, La pazienza dell’arrostito8, sono incontri con gli animali oltre che con i passanti; le pubblicazioni a carattere aforistico come Il silenzio del corpo9 e Pensieri del Tè10 hanno anch’esse animali come soggetto.
E qual è l’animale di Ceronetti? Non quello del filosofo o dello scienziato: costoro continuano a chiedersi sull’intelligenza degli animali invece che sulla propria. È l’animale dei sacrifici sacri e profani, dei riti, sagre, fiere, circhi, e, soprattutto, quello degli allevamenti intensivi (mucche incatenate una vita a produrre latte, galline ingabbiate a produrre uova, mustelidi a produrre pelli), quello degli stabulari. Lasciamo perdere i pet. È l’animale catturato, domato, allevato e macellato dall’Homo sapiens sapiens, l’animale vittima sacrificale, una volta per gli dei su un altare, adesso incellofanato sui banconi dei supermercati, altari del capitalismo.
Non è scrittore per spiriti deboli, per lettori impressionabili o persone per bene. Bisogna reggersi forte. Non è un innocuo premio Nobel, è una mina vagante nella stagnante letteratu-ra contemporanea.
- Il filosofo viandante
E se fossi l’ULTIMO viaggiatore letterario in Italia?11
Guido Ceronetti
Alcune sue pubblicazioni sono diari di viaggio come Un viaggio in Italia, Albergo Italia, La pazienza dell’arrostito. Viandante più che viaggiatore. Lontana da lui l’idea del turista. In giro per l’Italia degli anni Settanta e Ottanta sui mezzi pubblici, a piedi o in autostop (nei dintorni dell’Abbazia di Staffarda non lo prende nessuno: “Faccio qualche timido segnale agli automobilisti perché mi portino altrove, ma evidentemente la vista di una faccia passa-bilmente onesta li spaventa, cosi rinuncio, tornerò in corriera.”12). Con un taccuino a scrivere di tutti gli animali che incontra, cani, gatti, piccioni…, vespe, zanzare, mosche…, circhi, zoo, stabulari.13 Mimetizzato tra passanti, passeggeri, avventori, in lungo e largo per l’Italia. E la
1 Guido Ceronetti, Tra pensieri, Adelphi, Milano, 1990, p. 13.
2 Guido Ceronetti, Difesa della luna, Rusconi Editore, Milano 1971.
3 Guido Ceronetti, Aquilegia, Einaudi, Torino 1988.
4 Guido Ceronetti, Deliri disarmati,Einaudi, Torino 1993.
5 Guido Ceronetti, Nuovi ultimi esasperati deliri disarmati, Einaudi, Torino 2001.
6 Guido Ceronetti, Un viaggio in Italia, Einaudi, Torino 1983.
7 Guido Ceronetti, Albergo Italia, Einaudi, Torino 1985.
8 Guido Ceronetti, La pazienza dell’arrostito, Adelphi, Milano 1990.
9 Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, Adelphi, Milano 1979.
10 Guido Ceronetti, Pensieri del Tè, Adelphi, Milano 1987.
11 Un viaggio in Italia, cit., p. 126.
12 Ivi, p. 160.
13 Oltre 500 i passi sugli animali nelle sue pubblicazioni fino al 2009, esclusi gli articoli di giornali e le traduzioni dei classici: 57 sui cani, 48 sui gatti, 49 su polli, galli e galline, 40 sui pesci, 34 su mucche, vitelli e tori, 37 sugli uccelli, 21 sui maiali, 17 sugli insetti, 16 sulle rane, 4 sui rospi, 15 sulle formiche, 15 sui conigli, 12 sui leoni, 6 sulle
vede brutta: “Mio Dio, quant’è brutta l’Italia! Di bellezza restano poche, assurde tracce.”14 (Ma perché, c’è ancora chi la trova bella?) Qualcuno lo prende per straniero, qualche altro per poeta, e una napoletana nel tram: “Lei è buono. Io vedo sa? Vedo che Lei è buono.”15 Lo com-muovono gracidare di rane16 e canti di grilli17, ammira la genialità del ragno18, si meraviglia per la presenza sull’asfalto di sterco di cavallo (Ceronetti non è scrittore edulcorato):
Ieri, tra Piacenza e la via per il Po, mucchietto di sterco di cavallo fresco, sull’asfalto! Un’apparizione… Non c’erano che macchine, dov’era il Cavallo? Lo sterco era stato portato e messo lì dagli angeli, a ricordo della vita vera.19
a Ventimiglia gode la compagnia di una vespa20, si disgusta nel vedere un’insegna pubbli-citaria ripugnante ai suoi occhi vegetariani, MACELLERIA EQUINA21, un manifesto della Bayer, VELENO BUONO PER TOPI DA MORIRE22, scritte sui muri QUI GIACE UN POVE-RO PICCIONE SGOZZATO E AMMAZZATO23.
A L’Aquila c’è il circo:
In uno spiazzo larghissimo l’enorme macchina del Circo viene pezzo per pezzo montata da ciurme di manigoldi che lavorano bene, all’energumena, parlando tutte le lingue dallo svedese all’hindi; torme di ragazzini spietati e morbosi assediano le gabbie delle bestie; davanti a me un roccione di muscoli sta disfacendo con precisione di scalco, con un’ascia lunga, i quarti di carne destinati ai leoni; indiani delle tribù criminali di Mac Munn servono nella tenda degli elefanti. Ne conto dodici, con un elefantino, catene ai piedi come la schiera di Ginesillo de Pa-samonte, e con le proboscidi dondolanti ritmicamente (stanno sicuramente dicendo qualcosa) sembrano dei vecchioni in un ospizio puzzolente, dediti a una masturbazione collettiva disperata. Quella vista fallica eccita la risata di un gruppo di ragazzine24.
e a Santo Stefano di Sessanio un asino, già allora quasi estinto in Italia. Quale migliore occa-sione per parlare di vita e morte?
Arrivo a Santo Stefano di Sessanio. Trovo galline e orti coltivati, ireos gialli e blu agitati dal vento. Un odore infallibile, e scopro un VERO ASINO. Splendida immagine di pace, orecchie di sapiente, occhi di bontà… Insieme parliamo un poco della vita e della morte, di chi vince e di chi perde, di chi sa e di chi non sa… Un po’ di sterco, finalmente.., il naso se lo mangia felice…25
Indimenticabile il bastardo di Piazza Armerina a Catania:
A Piazza Armerina subito mi è venuto dietro un cane, un povero bastardo fulvo in cerca di una carezza sul pelo fradicio. – È suo quel cane? Càccialo, càccialo via… – (Padrone con brutta grinta, alla cassa del suo ignobile bar). In un altro posto dove piglio un latte caldo con cognac per scaldarmi le dita livide sul bicchiere, tanta canaglia ingiubbonata di nero si arrostisce cuore e mente in un bagno turco di turpe musica, tira la coda al flipper, mangia porcherie, ingoia caffè, non sanno parlare, non sanno che cosa dire, ma sono meglio che altrove perché non mi notano. […] Mentre sosto nella chiesa di Santo Stefano, in restauro, con decorazione delicatissima, ricompare il cagnetto di prima, e sarà triste e deluso vedendomi partire indifferente, dopo due offerte di fedeltà26.
api e, a decrescere, su aquile, renne, falchi, foche… e su altre 140 specie; sui macelli 36 passi, 21 sugli allevamenti, 11 sui circhi, altrettanti su stabulari e centri di sperimentazione, oltre 150 sull’alimentazione vegetariana.
14 Ivi, p. 248.
15 La pazienza dell’arrostito, cit. p. 243.
16 Un viaggio in Italia, cit., p. 18.
17 Ivi, p. 22
18 Ivi, p. 29
19 Ivi, p. 36
20 Ivi, p. 45
21 Ivi, p. 76
22 Ivi, p. 48
23 Ivi, p. 36
24 Ivi, pp. 91-92
25 Ivi , pp. 96-97
26 Ivi , p. 114-115
Perché, catanesi, non fare un monumento al cane e allo scrittore?
Ed esiste ancora a Cuneo il Foro Boario?
I vitellini inciampano, cascano uno sopra l’altro, qualche pugno li rimette in piedi sulle gambine tenere, poi buoni calci li scaraventano dentro l’altro carro della morte. […] la retata bovina può partire per la sua Treblinka, per la sua Kolimà. Sarà un viaggio breve27.
Sì, li aspetta il macello. Come ancora oggi qualsiasi vitellino in qualsiasi macello del globo. “Vertiginoso è il giro di denaro all’interno di quella sanguinante nuvola di muggiti”28. Per gli animali Treblinka, Kolimà, Auschwitz non sono luoghi del passato, è il loro eterno presente.
A 58 anni il filosofo viandante continua il diario di viaggio con Albergo Italia, sempre lontano dagli itinerari delle guide turistiche. A pp. 139-14329 (tra le più belle della letteratura italiana) “Risaie silenziose”, desolante constatazione, non si sentono più rane e rospi nell’era dei pesticidi:
Bella parola greca, bàtrace, e animale misterioso. Sull’arca, la coppia di bàtraci l’avevano messa nella stiva, in un po’ d’acqua sporca, ma per loro piena di vita, e ogni tanto si dicevano, in una lingua incom-prensibile, a voce alta, cose gravi e gentili, ma agli altri sembravano suoni barbari, e lo chiamavano gra-cidare. La rana e il rospo gracidano; il rospo è malvisto dall’occhio umano torbido e feroce, la rana è man-giata. Il gracidare dei bàtraci è considerato, in luoghi molto elevato e inaccessibili alla Scienza, di grande importanza per l’armonia universale, addirittura preferito a Palestrina e al troppo vantato usignuolo. Il gracidare è solenne, religioso, ammonitore, medicatore. Infallibile, Leopardi chiama canto la voce notturna della rana; e Leopardi era un angelo disceso, un messaggero.
Non gracida più la risaia.
Le rane sono partite, se morire è un partire. Il bàtrace delle risaie è ammutolito. La risaia è silenziosa30.
Sono tornate le rane nelle risaie? Non canta più neanche il gallo: “Nelle città i galli non can-tano più, così la notte non ha più termine.”31 “[…] simbolo della luce e della resurrezione”32, ad annunziare il giorno. Chi possiede un gallo disturba la quiete pubblica ed è passibile di de-nunzia. Attualissime pagine. Non è cambiato nulla da quegli anni. Ancora oggi la carne per cani e gatti è carne di canguro33, ancora oggi la stessa caccia alle balene:
Pochi anni ancora, e si parlerà della balena come del mammuth siberiano e del leone con le zanne. Resteranno le balene delle favole, dei poemi e delle enciclopedie, le balene degli armadi, che riempiamo
di sepolture. Nei mari, è lo sterminio totale, la caccia all’ultimo34.
e l’asino torturato per carnevale a Villanueva de la Vera in Estremadura?
Digiuno per una settimana un asino vecchio e malandato viene cavalcato dal più grasso del paese, bastonato, preso a calci, ingozzato di alcolici, tirato su per le orecchie e la coda ogni volta che cade finché stramazza definitivamente e allora viene lapidato a morte dalla folla ubriaca (la fiesta un’ora e mezza)35.
Tutti fautori dell’indietronontornismo. Il misantropo, catastrofista e apocalittico se ne fa beffe:
E ogni volta che qualcuno, alzando la testa dall’oceano del luogo comune, sentenzi che “non si può tor-nare indietro”, il suo vomito d’imbecille ribatte perdutamente il chiodo. Pur ripugnandomi di dover riconoscere un fondamento, un senso qualsiasi alle parole del Cretino, devo ammettere sì è vero, “indietro non si può tornare” (si fata movent) ma questo è un motivo di strazio e di torcimento: solo una cretinità insuperabile può manifestare contentezza perché una costrizione inesplicabile ci impedisca di saltar fuori da una toboga così duramente, così implacabilmente infernale!
Oh, il cretino è sempre ottimista, il cretino è sempre positivo…36
27 Ivi, p. 163-164
28 La pazienza dell’arrostito, cit. p. 137.
29 Albergo Italia, cit.
30 Ivi, p. 139
31 Guido Ceronetti, L’occhiale malinconico, Adelphi, Milano 1988, p. 78.
32 Albergo Italia, cit., p. 158.
33 Guido Ceronetti, Briciole di colonna, Editrice La Stampa, Torino 1987, pp. 146-147
34 Ivi, p. 145
35 Guido Ceronetti, La fragilità del pensare, Rizzoli, Milano 2000, p. 119
Il più grande scrittore italiano vivente visita le vipere allo zoo di Milano:
Allo zoo vado a fare un saluto alle diverse famiglie di Vipere, adorabile rettile timido. La storia le ha appe-na sfiorate: appaiono intatte, pronte a moltiplicarsi, a replere terram senza l’obbligo di sottometterla.37
Gli animali nascono per riempire la terra, ma solo l’uomo con l’obbligo di sottometterla.
Anche La pazienza dell’arrostito è un diario in lungo e in largo per l’Italia, da Milano a Mar-gozzo (“Un pavone blu mi viene vicino, silenzioso, mentre scrivo ai piedi di una gloriosa Cedrus Atlantica […]”38), da Arona (“giraffe, zebre, gazzelle, fenicotteri, rinoceronti, leoni, tigri, orsi bruni, convenuti lì per informarci gentilmente che la natura ha creato anche altro, e di più vario, oltre all’uomo”39), a Novara, da Cividale a Venezia, da Campo de Gheto Novo a Torino, da Sanremo, anche un salto in Francia, ad Avignone. A Trani “Vetrina dove penzola capretto sanguinante”40, “ANDRIA DA 15 ANNI IN ATTESA DEL MACELLO”41.
Saranno le tappe del mio prossimo viaggio. E ad Andria, a vedere se hanno realizzato il macello.
La produzione del foie gras, barbarie allo stato puro:
È in uso ormai negli allevamenti l’Ingozzatrice Meccanica (regolata da calcolatore…) che ingozza oche ed anatre al ritmo di un’ottantina all’ora, e fino a centoventi per le anatre, attraverso un tubo piantato in permanenza nell’esofago della vittima: gli entra mais cotto e salato tre volte al giorno per tre settimane, in tutto quindici chilogrammi di mais, col martirio supplementare di quattordici ore di bombardamento luminoso ogni giorno, in stabulari stipatissimi. Dopo tre settimane l’animale ha il peso decuplicato, non si regge più sulle zampe e agonizza lentamente42.
Fratelli animali sono anche gli insetti, ai quali Ceronetti dedica Insetti senza frontiere43. Propone la fondazione di un’associazione che li salvaguardi e in cui le mosche sono chiamate messaggeri divini. Mi iscrivo volentieri.
E quale scrittore aveva mai raccontato la condizione degli animali della ricerca scientifica? Chiamateli centri di sperimentazione animale o di vivisezione, sono luoghi di atrocità inaudite per cavie, cani, gatti, scimmie, rane, insetti. Rassicurante l’Enciplopedia Treccani: «Atto operatorio su animali vivi, svegli o in anestesia totale o parziale, privo di finalità terapeutiche ma tendente a promuovere, attraverso il metodo sperimentale, lo sviluppo delle scienze biologiche […]». Padre Agostino Gemelli (ce ne informa Ceronetti44) trovò il sistema per non farne sentire gemiti, lamenti, latrati, strepitìi, schiamazzi: tagliava agli animali le corde vocali.
Migliaia di piccoli animali stabulano nella Casina della Pace con la stessa speranza della sibilla di Cuma: morire. Gabbie, gabbiette, cassette, ospitano sofferenze senza nome. Enarchì vede topi, criceti, cavie, conigli, polli, pulcini, cani, gatti, scimmie, serpenti, e per un repentino dono di profezia è in grado di capire tutto quel che raccontano i loro deboli suoni. Sono racconti di supplizi a cui mancherà sempre il giardino della letteratura. Enarchì ricorda quello che ha udito, ma non potrebbe scriverlo.
[…] Certi supplizi non durano giorni o settimane, ma anni interi.
Oh impalatori, scorticatori, squartatori, arruotatori, crocifiggitori d’uomo, vi sia riconosciuto il merito di essere rimasti costantemente entro limiti rituali, almeno! Qua succedono cose con cui la vostra ferocia fatica a paragonarsi, ad opera di signore e signori dall’aspetto pulito, rispettosi delle leggi, onorati dal pubblico, applauditi dalle accademie. L’esperimento sugli animali è la corona dei patiboli che abbiamo eretti, il brillante puro della storia dei macelli, delle torture e delle carneficine umane. Aver tirato a prolungare la sola esistenza del verme umano a spese del lamento infinito di tutte le creature viventi, col grave assenso delle più solenni barbe di profeti e fondatori di religioni in fondo allo sterminato corridoio dei lamenti, resterà scritto, quando finalmente avremo liberato l’universo della nostra presenza, come il
più schiacciante dei nostri carichi d’accusa, sulle rovine del mondo insanguinate45.
36 L’occhiale malinconico, cit. pp. 212-213.
37 La pazienza dell’arrostito, cit. p. 14.
38 Ivi, p. 17.
39 Ibidem.
40 Ivi , p. 115.
41 Ivi, p. 122.
42 Ivi, p. 179
43 Guido Ceronetti, Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano 2009. 44 La fragilità del pensare, cit., p. 79
45 Aquilegia, cit. p. 31
Ma la scienza non pensa:
Fino a qual punto sia degradata moralmente la scienza – la scienza ricercatrice, dei laboratori, delle grandi università, dei disintegratori di materia e dei manipolatori genetici, dei fenomeni dell’alta chirurgia – non è calcolabile, alla pari del «male-che-può-fare» l’esplosione di un reattore da tre o quattro mila megawatt. Sono abissi di nichilismo e di non-pensiero. Il giudizio più tagliente l’ha formulato Heidegger: «La scienza non pensa».46. - L’antropocentrismo è il male assoluto
Non considero i gatti, o qualunque altro animale, come automi cartesiani;
circa l’anima delle bestie sono d’accordo con La Fontaine nella famosa lettera a Madame de la Sablière47.
Guido Ceronetti
L’animale che dimentica di essere un animale.
Marco Maurizi48
Adesso lo chiamano specismo, sulle orme lasciate dallo scritto di Peter Singer49.
Subito, senza preamboli, in Difesa della luna, mentre il mondo celebra lo sbarco sulla luna e la conquista dello spazio, lui soltanto in Italia urla contro i millenni di antropocentrismo che hanno messo l’uomo al centro dell’universo e al principio del tempo e che ne hanno fatto una specie a sé, separata dal regno animale, né animale né angelo, tra l’animale e Dio, tra materia e spirito, Angelo e Diavolo.
Il libro sacro della Genesi, è invece una condanna a morte per gli animali (Gen. 1, 26-31). Non c’è memoria nella storia umana di una convivenza alla pari con le altre specie animali, con qualche eccezione in qualche comunità estinta o nei miti dell’Eden e dell’Età dell’oro.
Con l’apparizione dell’uomo sulla terra, terrore e tremore per gli animali (Gen. 9, 1-7):
Et terror vester ac tremor sit super omnia animalia terrae… Se una chiara lettura di una faccia di a-nimale fosse possibile, il Terrore scavato in ogni animale dall’uomo, anche nell’animale che non ne avesse mai veduto l’ombra, in toga, tuta o nuda, il mollusco sepolto, il verme della terra mai fenduta, si tro-verebbe scritto. È impossibile che non sia stato irradiato a tutto quel che ha vita, da quando le macchine della civiltà umana si sono impiantate dappertutto. Ma anche, forse, molto tempo prima. Quando la nostra specie entrò nella vita, un tam-tam infinitamente sottile e penetrante avrà portato in ogni screpolatura di materia l’annuncio che il nemico della vita, e il grande nemico di se stesso, era nato50.
Finalmente una storia dell’umanità dal punto di vista del dominio sugli animali. Lo stesso punto di vista di Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo51. Il primo libro che si accorge dell’inanità della filosofia senza la presenza dell’animale. Ceronetti sembra averlo letto. In pochissimi righi le migliaia di anni di sofferenze subite dagli animali:
Tutte le torture, i patimenti, i terrori (per Nemesis, imperdonabili) inflitti agli animali appartengono le-gittimamente al dolore infinito della storia e ne modificano il senso, se ne abbia uno (patire è essere modificati: tutta la storia, da quel patire oscuro, invendicato dalla parola, il più privo di giudici e tri-bunali, è modificata). Appena appena, la memoria scritta ricorda le bestie di cui Roma spopolò la sua Africa, i bisonti sterminati dai pionieri insieme agli Indiani; biasimi pochi. Gli storici, e perfino i veggenti, di questo immane urlo che ci fiocina e attraversa tutta la vicenda umana, imprimendosi gravemente sulla legge cosmica del castigo, non tengono nessun conto. La grazia sia sul principe Asòka per gli editti sulla colonna – specialmente il quinto – che proclamano i diritti degli animali invece dell’orribile signoria indiscriminata dell’uomo, su William Hogarth per The Four Stages of Cruelty, su Jonathan Swift per aver fatto governare gli uomini dai cavalli, su Giovenale per aver avuto compassione dei cavalli di Seiano, su
46 Guido Ceronetti, Oltre Chiasso, Libreria, Pistoia 2004, p. 140.
47 Guido Ceronetti, La carta è stanca, una scelta, Adelphi Editore, Milano 2000, pp. 219. 48 Marco Maurizi, Al di là della natura. Gli animali, il capitale e la libertà, Novalogos, Aprilia 2011, p. 52
49 Su specismo e antispecismo la letteratura degli ultimi decenni ha prodotto numerose pubblicazioni a partire da Peter Singer, Liberazione animale, ed. LAV, Roma 1987, cfr., per es., https://it.wikipedia.org/wiki/Antispecismo.
50 Difesa della luna, cit. p. 50.
51 Adorno Th.W. – Horkheimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1994.
Émile Zola per Pologne, Trombette e Bataille, le bestie dolorose di Germinal, su André Abegg per la fotografia dell’agnello tra i macellai della Villette52.
E la grazia sia pure su Guido Ceronetti per averci raccontato la storia del suo gattino53.
Un altro quadro della storia del dominio umano sull’animale in La pazienza dell’arrostito:
L’animale torturato, straziato e svaginato del proprio essere naturale, in ogni momento di tutti i secoli del predominio umano. Il suo grande URLO dal neolitico attraversa tutto l’arco sgocciolante sangue e la-crime della nostra maledizione in terra… Per chi abbia un cuore che abbia orecchi non è un silenzio, è veramente un urlo spaventoso, che si avvinghia ai lobi, che ci preme il petto con ginocchio di ferro… Ogni atto di tenerezza e di pietà, anche minimissimo, è infinitamente prezioso nella straziante giostra cosmica perché la storia non dà primati che alla martellante brutalità della Tenebra, non ha da esibire che strepiti e cori di vigliaccherie di forti calpestanti le debolezze…
Chi tirerà fuori anche un solo topo da una gabbia sperimentale sarà scritto nei libri delle Sibille angeliche54.
Colpevole una storiografia che non ne tenga conto, complice delle “tenebre”:
«Gli allevamenti hanno una storia, una genesi, che sono un momento della storia dell’umanità.., il modo di vivere quotidiano delle generazioni di domani si definirà anche a partire da questi…». E sarà un modo di vivere, giustamente, di perdizione e di fine, di universale peccato. È dirne poco «hanno una storia», sono una parte del DOLORE DELLA STORIA, eterna crocifissione di un Servo del Signore agli orrori della Materia, e non tenerne conto è da storiografia amputata e complice delle tenebre55.
e ancora:
Il sacrificatore laico, lo sterminatore razionale di natura vivente, di ambiente indivisibile, travestito da capitale, da scienza, da tecnica, da insieme di cifre, da economia-che-tira, da futuro, che dappertutto ha il potere e le armi, che vuole la pace per poter meglio sacrificare, che compone i governi o li asservisce, che vende e compra tutto, che parla con molte bocche un’infinità di lingue, questo forsennato che ignora ogni limite – chi lo incrimina, chi può toccarlo? E quale molecola vivente, mentale anche, può sottrarsi alle ustioni, ai dissanguamenti, agli squarci, prodotti dalle sue mani?56
Abbiamo perso l’animalità e ne paghiamo le conseguenze:
Non ci serve più l’animalità: era utile per «fiutare il pericolo» ma il pericolo, nell’impero di Humanitas, è una Cernobil senza odore, non resta che patirlo… Anche la fuga apparteneva all’animalità perduta: gli uomini fuggivano come animali (dal fuoco, dalla linea del fuoco, dall’acqua, dai crolli) e hanno ormai cessato di fuggire, perché fuggendo non incontrano spazi aperti ma uomo la gabbia-uomo, l’invalicabile muraglia carceraria uomo. Se non c’è più scampo per le bestie dall’uomo, per l’uomo dall’uomo non c’è più scampo57.
La spiegazione, forse, nella lettera di San Paolo ai Romani:
Gli Dei hanno lasciato estinguersi come insignificanti i mostruosi rettili, uccelli, anfibi di cento milioni di anni fa (e proprio mi sembra non valesse la pena di tenere in vita tutta quella triviale Materia priva di Mente, che non avrebbe né patito né conosciuto peccato), e hanno fatto arrivare fino ad ora, non si sa per quanto ancora, un essere costituzionalmente criminale, dal corpo estremamente fragile, che dopo essersi fatto per abitarci meravigliose e strane città, si è consacrato alla distruzione sistematica di tutta la realtà raggiungibile dai suoi nascosti artigli: ma neppure in questo (Mente più forte della Materia) vedo un motivo. Forse, nella lettera ai Romani di San Paolo c’è una spiegazione58.
O forse nel grattacielo di Horkheimer59.
52 Pensieri del Tè, cit. pp. 12-13.
53 La pazienza dell’arrostito, cit. pp. 285-289.
54 Ivi, pp. 99-100.
55 Ivi, p. 180.
56 Guido Ceronetti, Lo scrittore inesistente, Editrice La Stampa, Torino 1999, p. 140.
57 La pazienza dell’arrostito, cit. p. 261.
58 Guido Ceronetti, centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra, Trento 2006, p. 72
59 Max Horkheimer, Crepuscolo, Einaudi, Torino 1977, pp. 68-70.