Pasquale Cacchio 1987-1988
Non per il pubblico, solo per te,
anima sola in qualche nascondiglio
a te Grotowsky, a te Barba, a te Zappa
pochi uditori e forse neanche questi
come a Ippaso chi pubblica centoni
nulla da dire, tutto è stato detto
Sibilla dalla bocca delirante
oltrepassa i millenni con la voce
non addolcita da profumi e incensi
crudi versi Parmenide parlava
Dove sono le Muse da invocare?
C’è chi pensa sul filo di una rima?
la parola poesia mi fa già ridere,
mendicante piuttosto che poeta
per editori a caccia di ideuzze
di voci umane è coperta la terra,
tacciono pure i grilli e le cicale,
per sempre imbavagliati lampi e tuoni,
non parla più il ruscello, tace il vento,
i segreti violati alla ghiandaia
tra i sassi taciturni della strada
è muta com’è muta la natura
verbum, logos, parola fatta carne
hanno perso le cose il loro nome,
porte aprivano, ponti con le cose
e che parola è quella che discute?
È proprio dei giudizi decisivi
prima il silenzio, poi lo scoppio d’ira
è noiosa Cassandra, non ha stile,
e il vero non è sempre verosimile.
Guai a chi sbotti fuori all’improvviso,
fosse anche un dio alterato (o no, Buñuel?),
vien preso per artista originale
che lancia sul mercato nuove mode
Per chi scrivere? Cosa confidare
alla terra, alle piante, agli animali?
Ecco il guaio. Felici veramente
eremiti, stiliti e anacoreti,
c’erano ancora dirupi e deserti
lontani dai capillari di Moloch.
Si può parlare ancora da profeti?
Son diventati posteriori i posteri,
scoreggiano ancora il nome di un Hegel.
Ma, per il fiume Tevere, vi giuro,
l’ultimo uomo ha da dire la sua
prima che scoppi la memoria umana.
Perché tacere? Avrò un inferno d’ira,
farò smorfie per bocca dei profeti
senza commettere alcun sacrilegio.
Essere sempre cauti ed assennati?
Scusate, non c’è nulla da spiegare,
basta l’intelligenza di un bambino.
soli, nascosti, maestri di follia
tutto per nulla, voluttà di dare
per conoscere il nome che gli uccelli
danno alle stelle attraversando il mare
Dove fuggire?
L’ultimo atollo è stato già venduto.
Andiamo testimoni della fine
sopporta il mare il nostro testamento?
Il ricordo di noi da qualche ragno?
la morte ci sorprenda a piantar cavoli
Andiamo, morte, via da questa noia,
la terra è stanca, merita il riposo,
riposare con lei è il nostro sogno.
Madre l’hanno chiamata, adesso è schiava
di vero e falso, di diritti umani,
di lati positivi e negativi.
Non abbiamo più nulla da spiegare,
la bellezza è fuggita dalla terra.
Andiamo, morte, via da questa noia,
insieme a Muse stanche di danzare
lotteremo alla fine su un vulcano
prima che erutti le bestemmie umane
penetrate nel ventre della terra.
Fauci di tigri o becchi di avvoltoi,
felici i Greci senza sepoltura,
la terra è offesa dalle nostre tombe.
Andiamo, morte, via da questa noia,
con pietre e insetti potremo parlare.
Per un Cervus lucanus immolarsi
come Dio s’immolò per l’Homo sapiens?
Tutti i grandi incazzati sono morti,
ma i sogni ne conservano il ricordo.
Hanno forse concesso a Dostoevskij
il privilegio di morire in croce?
Andiamo, morte, via da questa noia,
mi verso tutti i tempi e me li mangio.
Quelli sì, son venuti dei ragazzi
a farci scherni, noi della famiglia
di Platone, Luciano e Michaelstädter.
Mentre sembra che tutti sanno tutto,
noi soltanto sembriamo senza scopo
come il vento che soffia, inaffidabili.
Andiamo, morte, via da questa noia,
non è quotata la nostra moneta,
in verità terribili scaviamo,
al solo nome di arte c’infuriamo,
da scuole di saggezza usciamo irati.
Se non proprio ci mettono a tacere,
ci fanno, Pasolini, suicidare
e danno al nostro il nome di una piazza.
Andiamo, morte, via da questa noia,
pugno di sognatori, pochi pazzi,
il silenzio dell’etere capiamo
e il canto dell’italicus Oecanthus,
ma non la lingua degli uomini dotti.
Il mormorio del bosco ci ha educati,
ogni idea condivisa ci disgusta,
non ci piacciono le ultime notizie.
Andiamo, morte, via da questa noia
dove vanno farfalle, assiuoli e rane
e i ramarri appiattiti sull’asfalto,
lì ci aspetta Marina e Margherita
sospetta intelligenza
sospetti sulla scienza
è l’acqua di Talete l’H2O?
l’atomo esiste
più veloci della luce
saperi che deridono l’ignoto
per poggiarvi gli occhiali fece il naso
sorrise tristemente Schopenhauer
Vi dico in nome della tartaruga
che arranca sulla riva verso il mare,
non sa orientarsi l’uomo negli abissi,
tra antichi cataclismi della terra;
hanno forse assistito i suoi antenati
la terra partorire nuove specie?
Hanno solo memoria di estinzioni.
Per ultimo è arrivato l’immortale,
livella le montagne e intuba i fiumi,
schernisce la bellezza della luna,
turba perfino i vermi timorosi
che innocui dormono sotto le pietre.
Vi dico in nome della tartaruga
che arranca sulla riva verso il mare,
non è l’intelligenza intelligente
(che non sia un ritrovato della pancia?),
la troppa intelligenza ha scompigliato
i mostri sonnolenti della crosta.
L’utile conoscete, non l’inutile,
noi conosciamo solo ciò che amiamo,
amate voi le vostre conoscenze?
Ciò che fa il fiume non lo sa nessuno,
ama il segreto l’intima natura.
Sono andato ai confini della scienza,
un lume palpebrante in una grotta,
un gioco di bambini mi è sembrata.
Conosca pure le virtù dell’erba,
la natura di lune e di galassie,
scrivi: non lì c’è perfetta letizia;
farà più in fretta germogliare i semi,
ma non conosce la forza di un dono
e poi, detto tra noi, conosce solo
gli oggetti che essa stessa ha fabbricato.
Vi dico in nome della tartaruga
che arranca sulla riva verso il mare,
ragionatore più che ragionevole
da noi ha calcolato la distanza,
ma una ganga che raspa sul terreno
ha più sapienza di un ricercatore.
È l’istinto a guidarci, ma non sbaglia,
le tartarughe non hanno ragione
perché istinto dell’uomo è la ragione.
madre di bembix
la sapienza di uno Sphex
sistemi di difesa millenari
elusi, tutt’a un tratto a zampe all’aria
resta impietrito il riccio sull’asfalto
infilza insetti l’entomologia
cos’è ti sanno subito spiegare
tardi ho imparato ad amare i cerambi
con le antenne pendenti come giunchi
per lui darei almeno un po’ di sangue
più fiori i fiori, più insetti gli insetti
di quanto un uomo è un uomo
certo il sole ha da fare tante cose
veneravano i fiumi come dei
in armonia col giorno e con la notte,
con i cicli del cielo e della terra
abbiamo loro insegnato a parlare
ed ecco, sanno solo bestemmiare
un’ecatombe di dialetti e lingue
pensi tranquillo alla storia dell’uomo?
Divino inizio a immagine di Dio,
Gli è piaciuto così, gli ha sottomesso
la luna, il sole e i fiumi come schiavi,
gli ha dato in dono il nome delle cose.
Ma è giunto il tempo dei padroni servi,
solo l’avere conferisce il rango,
per le ricchezze è apprezzata la terra,
solo il piacere avvicina i due sessi
in trappola, sconvolti tutti i ritmi
chiederà nuove macchine il progresso
per denti d’ingranaggi più affamati
lì il nostro Padreterno se ne sta
non più all’altezza degli avvenimenti
coi suoi ministri a benedir mercati
non basta (la questione è già decisa)
che si aduni il fior fiore della scienza,
bisognerà trovare lì per lì
spiegazioni a fenomeni inconsueti.
La crosta dopo un sogno di millenni
si scrollerà di dosso i termitai,
non basterà un mea culpa universale,
verso dove si fugge fuggiremo.
Di chi potremo avvalerci? Non diamo,
già sanno gli animali, affidamento,
esterrefatto è già il dio degli insetti.
Verranno gli elefanti per l’avorio,
i coccodrilli a riprendersi il cuoio,
le uova lo struzzo e le lucciole il buio
stesse leggi per buoi e per leoni
non giunse a tanto Sodoma e Gomorra
Ebbri di stelle e strisce e di diritti,
di libertà, purché non si discuta
il principio del libero mercato
la strada dello Stato formicaio
ha preso l’Anticristo
per punizione messo a non far nulla
guadagna tempo libero e lo butta
gli fa sentire nostalgia del buio
per farglielo cercare a pagamento
Ha qualcuno un destino personale?
Ognuno rimpiazzabile con l’altro,
addestrato a parlare e a non urlare,
dopo una vita libera di scegliere
tra dieci tipi di pane cattivo.
ti amo, terra, sei triste come me,
liberamente crescevano gli alberi
l’erba godeva della primavera
o querce, vorrei vivere tra voi
ricorda il granchio canti di sirene
cosa disegnerò sulle mie ali?
Con il puntino bianco del riflesso